Omelia di Padre Emmanuel Schwab

Domenica della Sacra Famiglia – Anno B

1era lettura: Genesi 15,1-6; 21, 1-3

Salmo: 104 (105),1-2, 3-4, 5-6, 8-9

2esimo lettura: Ebrei 11,8.11-12.17-19

Vangelo: Luca 2,22-40

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In questa domenica della Sacra Famiglia ci viene raccontata la fede: la fede di Abramo e Sara. “Abraamo ebbe fede nel Signore e il Signore lo giudicò giusto. » E nel suo commento al capitolo 11 della Lettera agli Ebrei sentiamo: «Grazie alla fede Sara […] ha potuto essere origine di discendenza. […] Attraverso la fede, […] Abramo offrì Isacco in sacrificio. […] Credeva che Dio è capace anche di resuscitare i morti”.

Ma è anche per fede che Giuseppe e Maria vengono a presentare il Bambino Gesù al Tempio. Si conformano alla Legge di Dio, compiendo i riti prescritti, con un atto di fede nel fatto che ciò che Dio richiede è giusto e buono, e che vogliono fare la volontà di Dio, che vogliono fare ciò che Dio dice. E Maria e Giuseppe sanno ciò che Dio vuole attraverso la mediazione del popolo di Dio, attraverso la mediazione di Israele che ha ricevuto da Mosè la Legge santa di Dio.

È per fede che viviamo la nostra vita seguendo Gesù. Questa fede che consiste nel credere a ciò che ha sperimentato, e nel crederlo lui stesso. Tant'è che la vita del cristiano, che è una vita di discepolato, consiste da un lato nell'ascoltare Gesù e nel cercare di mettere in pratica, nel fare quello che dice, nel mettere in pratica le sue parole, e dall'altro parte per ricevere da Gesù la grazia che ci permette di fare ciò che Lui dice. È per fede che dobbiamo agire.

In questa festa della Sacra Famiglia, è bene per noi contemplare questo mistero della famiglia umana che Dio ha voluto. Ricorda: è nelle primissime pagine della Bibbia, nel libro della Genesi che apre i cinque libri della Legge, che ci viene rivelato che l'essere umano è creato maschio e femmina in vista dell'unione indissolubile dell'uomo e la donna, marito e moglie (cfr Gen 1,26-28). “ Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e saranno due in una carne”. (Gen 2,24). Si tratta di accettarlo per fede. È attraverso la fede in Dio Creatore che ciascuno di noi può ricevere se stesso da Dio nello stato in cui è nato, come vocazione. Nascere uomo o donna è una vocazione, una parola di Dio nella nostra vita che esprime la chiamata di Dio e che esprime il senso della nostra esistenza. È anche Dio che ci rivela ciò che ha voluto nel creare l'essere umano, uomo o donna, e che ci rivela come tutti siamo fatti per l'incontro del marito o della moglie. A meno che, ci dirà Gesù, la vita ce lo renda impossibile, comunque la sperimentiamo così, o a meno che, per il Regno dei Cieli, non riceviamo una vocazione particolare a dedicare la nostra vita al celibato (cfr. Mt 19,12).

È uscito recentemente un testo del Dicastero per la Dottrina della Fede e sta facendo un po' rumore; ma non sento molti commenti a quanto ricordato all'inizio, al numero 4, dove si ricorda che «ciò che costituisce il matrimonio è un'unione esclusiva, stabile e indissolubile tra un uomo e una donna, naturalmente aperta alla generazione di bambini." E si richiama poco più in là: «la perenne dottrina cattolica del matrimonio: - cito tra virgolette - «È solo in questo contesto che i rapporti sessuali trovano il loro significato naturale, proprio e pienamente umano. La dottrina della Chiesa su questo punto resta ferma” (Fiducia supplicans §4).E sono sempre felice come sacerdote – lo ero comunque come parroco – di benedire gli impegni delle persone che liberamente scelgono di vivere questi impegni in casta continenza.

La famiglia che Dio ha voluto, potremmo dire che è concepita come una scuola. Una scuola di vita. Possiamo vedere chiaramente come le generazioni si sono succedute, per millenni, e queste generazioni che si susseguono ricevono tutta un'eredità, completano questo patrimonio e talvolta perdono parti di questo patrimonio. Ma in ogni caso c’è un lungo apprendistato, un lungo tempo di formazione di questa nuova generazione alla quale trasmettiamo una lingua, una cultura, dei costumi, un saper fare, alla quale trasmettiamo la fede, la speranza e la carità. La famiglia, in particolare quella cristiana fondata sul sacramento del matrimonio, è un luogo dove impariamo la fede, dove impariamo Dio, dove impariamo a vivere a partire da Cristo. Mi colpisce come, quando Santa Teresa entrò al Carmelo, all'età di quindici anni e tre mesi, possedesse già tutto l'equipaggiamento per il combattimento spirituale. Lo ricevette nei suoi primi anni ad Alençon, poi presso il padre e le sorelle maggiori a Lisieux. Fu nell'ambito della famiglia che imparò veramente a riporre la sua fede in Dio, ad amare Gesù e a cercare di piacergli in tutto. La famiglia è scuola di fede, non in primo luogo attraverso l'insegnamento, ma in primo luogo attraverso il modo di vivere... e il modo di vivere nella fede che hanno i genitori.

La famiglia è anche luogo di apprendimento della carità. È qui che si sperimenta l'amore coniugale, poi l'amore genitoriale e in cambio l'amore filiale, poi l'amore fraterno. È qui che impariamo ad amare noi stessi senza aver scelto noi stessi: i genitori non scelgono i figli, i figli non scelgono i genitori, i fratelli e le sorelle non si scelgono tra loro. Tutto questo può sembrarci naturale, ma in realtà si tratta di imparare ad amare gli estranei. Quando nasce un bambino, è un grande mistero! Teresa è affascinata da Gesù e vuole amarlo davvero. Capisce che per amarlo non ha altra soluzione che amare concretamente coloro tra i quali vive. E scrive così: "Sì mio Amato, così si consumerà la mia vita... Non ho altro modo per dimostrarti il ​​mio amore che gettare fiori, cioè non lasciarmi sfuggire nessun piccolo sacrificio, niente sguardo, niente parole, per godere di tutte le cose più piccole e farle per amore…” (Ms B 4)

Questo dobbiamo imparare nelle nostre famiglie: fare tutto per amore. Per amore di Gesù, ma per amore gli uni degli altri. Tutti i piccoli gesti di servizio resi, tutte le parole un po' dure che diciamo, tutte le battute brutte, tutte le battute ironiche... È nelle piccole cose che si vive l'amore concreto al prossimo. È in famiglia che lo impariamo.

E poi la famiglia come luogo, come scuola di speranza e in particolare quando viviamo lì, dove viviamo il lutto, dove il dolore e la tristezza che proviamo possono, anzi devono, essere portati da questa speranza che è che sappiamo che la vita non finisce lì, che c'è il Cielo, che c'è il Regno e che misteriosamente, e particolarmente nella celebrazione eucaristica, noi sperimentiamo questa comunione con la Chiesa del Cielo.

Infine, per finire, vorrei dare la parola anche a Teresa sulla pedagogia, perché ciò che Teresa vivrà come assistente maestra delle novizie — Teresa rimarrà sempre nel noviziato e sarà comunque scelta da Madre Maria de Gonzague per aiutarla nel il noviziato; ma in realtà sarà Teresa a svolgere concretamente il compito di maestra delle novizie - e Teresa scrive questo che, credo, può gettare luce anche su tutta la pedagogia, in particolare dei genitori verso i figli, ma anche sulla pedagogia dei catechisti, di facilitatori, insegnanti, quello che volete, purché abbiamo una responsabilità verso i più piccoli. Teresa dunque scrive questo nel manoscritto C, ai fogli 22-23. :

Da lontano sembra una cosa rosea fare del bene alle anime, farle amare di più Dio, infine modellarle secondo le proprie opinioni e pensieri personali. Da vicino è proprio il contrario, il rosa è scomparso... sentiamo che fare del bene è impossibile senza l'aiuto di Dio quanto far splendere il sole nella notte... Sentiamo che dobbiamo assolutamente dimenticare i nostri gusti, i suoi gusti personali concezioni e guidano le anime lungo la strada che Gesù ha tracciato per loro, senza cercare di farle camminare sulla sua stessa strada. […] Ho visto innanzitutto che tutte le anime hanno più o meno le stesse lotte, ma che sono così diverse in un altro modo che non ho difficoltà a capire ciò che diceva padre Pichon: “C’è molta più differenza tra le anime di quanta ce ne sia tra i volti. » Quindi è impossibile agire con tutti allo stesso modo. Con certe anime sento che devo farmi piccola, non temere di umiliarmi ammettendo le mie fatiche, le mie sconfitte; vedendo che ho le loro stesse debolezze, le mie sorelline mi confessano a loro volta i difetti di cui si rimproverano e si rallegrano che io le comprenda per esperienza. Con altri ho visto che, al contrario, per far loro del bene è necessario avere molta fermezza e non tirarsi mai indietro su quanto detto. Abbassarsi allora non sarebbe umiltà, ma debolezza. Il buon Dio mi ha dato la grazia di non temere la guerra, devo fare a tutti i costi il ​​mio dovere. (Ms C 22v°-23v°)

Ebbene chiediamo questa grazia, per intercessione di santa Teresa e dei suoi santi genitori, Luigi e Zelia, di saper amare Gesù in modo tale che cresca la delicatezza del nostro amore fraterno gli uni verso gli altri.

Amen